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Argomenti della sezione Formazione
Progetto presentato dal candidato Martino Baldi
Questo scritto nasce come elaborato finale dell'edizione 2004/05 del Corso di Perfezionamento per Responsabili di Progetti Culturali della Fondazione Fitzcarraldo di Torino. Non è una tesi di tipo universitario, né un compito da esame finale. È un tentativo di tirare le somme di quanto appreso nei sette moduli del Corso e, contestualmente, applicare le conoscenze a un caso pratico. Idealmente e preferibilmente, questo caso pratico avrebbe dovuto essere un vero e proprio "progetto", ovvero, per ricorrere a una delle definizioni proposte nel corso del CRPC, "un'attività complessa, unica, con un inizio e una fine predeterminate, che viene svolta con risorse organizzate, mediante un processo continuo di pianificazione e controllo, per raggiungere degli obiettivi predefiniti, rispettando vincoli interdipendenti di costo, tempo e qualità".
L'argomento che affronto è la pianificazione dello sviluppo di una compagnia di danza contemporanea, la compagnia toscana ALDES del coreografo Roberto Castello, nella attuale situazione italiana. È evidente che in questo caso l'attività in oggetto non è esattamente delimitabile a un inizio e a una fine predeterminata e, quindi, rientrerebbe forse più coerentemente in un management di azienda piuttosto che di progetto, ma questo lavoro risponde e mira a un'ottica di organizzazione cosiddetta "per progetti", e si può situare quindi sulla strada per far giungere la struttura interessata a una funzionalità di tale genere. Ritengo infatti che, per poter rendere efficace una attività basata sui principi del project management, sia necessario prima di tutto che una struttura si organizzi coerentemente con questo obiettivo.
La responsabilità della proposta progettuale non è condivisa con la compagnia ALDES, a cui è stata sottoposta solo al termine del lavoro, ma è anzi da ritenersi interamente personale, per quanto abbia fatto tesoro delle conoscenze accumulate sulla compagnia dall'interno, nel corso di diversi mesi di collaborazione in cui ho raccolto dunque elementi concreti e riflessioni, esaminato i bilanci e fatto un lavoro di collazione ed elaborazione di dati (è il caso dell'analisi storica del mercato di ALDES illustrata più avanti). Si spiega così anche perché la prospettiva del presente lavoro si arresti, operativamente ma non metodologicamente, alla fine del 2005: sarebbe stato infatti un puro esercizio teorico procedere ulteriormente senza che la compagnia avesse prima vagliato questo lavoro e conseguentemente concorso a prospettare le future direzioni operative
A discendere da queste valutazioni, ho ritenuto utile la presente forma di presentazione, costituita da una preliminare riflessione analitica di inquadramento generale e da una seconda parte propositiva più specifica, per mettere in chiaro da dove discendano le necessità generali e quelle particolari degli interventi proposti, ovvero quali siano le domande a cui le mie ipotesi intendono corrispondere e a cui comunque ritengo necessario trovare delle soluzioni.
I problemi fondamentali di una compagnia di danza contemporanea sono attualmente quelli condivisi da gran parte del sistema culturale italiano (mancanza di risorse, insufficiente considerazione politica e scarsa audience), ancor più radicalizzati per il fatto di essere considerata la danza una disciplina d'elite, con un seguito particolarmente scarso e, soprattutto, con risibile visibilità sui mezzi di comunicazione e informazione. In questo stato di cose, la danza contemporanea si trova a soffrire particolarmente una situazione di diffusa analfabetizzazione della popolazione italiana (anche di quella cosiddetta colta) ai linguaggi delle arti contemporanee e in particolare di quelle legate all'aspetto performativo, considerate irrilevanti per eventuali investimenti di tipo speculativo o comunque redditizio, a causa della loro natura immateriale. Questo accade soprattutto per le pessime politiche culturali "storiche", per il cattivo servizio svolto dall'istruzione, spesso anche da quella elevata e specialistica, e per l'assoluta insufficienza, sia quantitativa che qualitativa, dell'informazione culturale condotta dai mass media. Volerne indagare le cause o anche solo approfondirne l'analisi è opera praticamente inscindibile da un discorso complessivo sulla crisi generale del sistema-Italia. In questa sede conviene quindi semplicemente porsi il problema di come sopravvivere in questo milieu e possibilmente svilupparsi, coerentemente con i propri presupposti ma non rigidamente attaccati allo scoglio di idee e motivazioni pregiudiziali che potrebbero alla fine risultare controproducenti anche rispetto ai propri fini.
Come gran parte del sistema italiano della cultura e dello spettacolo, la danza è stata a lungo sostenuta completamente da finanziamenti pubblici. Una compagnia dalla struttura finanziaria tradizionale compone il bilancio delle sue entrate principalmente da due voci: finanziamenti pubblici diretti e cachet ricevuti per spettacoli ed eventuali servizi. La distinzione delle fonti riguarda solitamente, all'interno di queste due macrovoci, l'ente di provenienza dei finanziamenti (Ministero, Regione, Enti locali...) e il tipo di committente diretto (Teatri, Festival, Scuole, Fondazioni pubbliche...).
Con il disimpegno progressivo del soggetto Pubblico negli investimenti culturali, vuoi in seguito a reali esigenze di bilancio, vuoi per scelte politiche, non soltanto viene meno il canale principale di finanziamento delle attività ma, vista la sua precedente assoluta centralità, a essere messo in crisi è l'intero sistema tradizionale, tanto da poter parlare di vero e proprio cambio di paradigma. La diminuzione delle finanze distribuite col Fondo Unico per lo Spettacolo, nonché la diminuzione dei trasferimenti dall'amministrazione centrale agli enti locali, infatti, non soltanto comporta la diminuzione dei finanziamenti diretti alle compagnie, ma fa mancare fondi agli stessi acquirenti tradizionali dei loro spettacoli e servizi (a loro volta finanziati dai fondi pubblici). A questo si aggiunge la scarsa disponibilità (non solo per carenza di risorse ma anche per carenza di lungimiranza) del Pubblico a programmare piani di politica culturale pluriennali che potrebbero contribuire almeno alla costituzione di un sicuro orizzonte in cui operare.
In sostanza, questi fattori ci portano a dover considerare debole la posizione di chi intenda sopravvivere a tale cambiamento semplicemente intensificando le proprie attività tradizionali. Per la sopravvivenza e lo sviluppo di una compagnia di danza, che voglia esercitare la propria arte ai livelli costosi del professionismo, è necessario ripensare l'organizzazione delle proprie attività innanzi tutto in base alle nuove condizioni entro cui soddisfare le necessità del proprio sostentamento.
Il cambio di paradigma impone un ribaltamento dell'ottica tradizionale. Se in precedenza erano i finanziamenti pubblici (diretti e indiretti) a costituire la colonna vertebrale di una compagnia di danza e il rapporto con i capitali privati e il mercato era considerato un'opzione da percorrere saltuariamente su progetti specifici, adesso la situazione è opposta: molte più opportunità di sviluppo sono offerte ai soggetti che sappiano strutturarsi in maniera tale da resistere sul mercato anche a fronte di un eventuale ulteriore disimpegno del Pubblico. E anche nei confronti del Pubblico, maggiore capacità di attrazione avranno i soggetti in grado di sviluppare progettualità di tipo avanzato e di mettere in circolo interessi e finanze di altra provenienza.
Si potrebbe guardare come esempio al sistema anglosassone ma, purtroppo, in Italia la situazione è particolarmente delicata perché al disimpegno del Pubblico si accompagna la mancanza di corrispettive misure che favoriscano o incentivino adeguatamente altre forme di sostenibilità dei soggetti del no-profit culturale. Non viene premiata la capacità di sviluppare entrate commerciali mirate al sostentamento della propria missione culturale né viene realmente e sostanzialmente favorito il sostegno di tali attività da parte di investitori o eventuali benefattori privati. Emblematico è il caso della legge sulla defiscalizzazione delle erogazioni liberali alla cultura, rimasta largamente sottoutilizzata, certo anche per la negligenza degli operatori culturali, ma soprattutto per alcuni limiti oggettivi della normativa, tra cui la mancanza di vantaggi fiscali cospicui per l'eventuale erogatore.
La realtà è che in questo preciso momento storico, in Italia, stiamo scivolando, naturalmente senza aver saldo il governo del cambiamento, in una situazione in cui l'iniziativa culturale sarà costretta a operare come una qualsiasi altra impresa commerciale, senza poter affidare le proprie speranze di sopravvivenza e sviluppo all'intervento di terzi che ne tutelino l'esistenza in considerazione del suo valore artistico.
Di fronte a una improvvisa e pericolosa strettoia del genere mi sembra che le strategie possibili siano principalmente due, esattamente come accade nel mondo delle imprese comuni:
Scegliere di giocare la carta della sopravvivenza guida a una minimizzazione della struttura organizzativa, rendendo centrale la figura dell’artista-factotum, capace di maneggiare il maggior numero possibile delle competenze connesse alla produzione e distribuzione della propria arte. È questa una figura tradizionale, derivante dal capocomico, che è stata sufficiente anche a gestire lo sviluppo di strutture di media complessità, fin quando non ha iniziato a verificarsi verificarsi quel cambio di paradigma che rende necessaria una pratica più intensa e specialistica del management.
Affrontare le sfide del mercato in un'ottica di sviluppo significa invece disegnare una struttura con due fuochi, in cui a valere maggiormente è l'equilibrio che andrà raggiunto tra la tutela della originaria missione artistica e la concessione alle condizioni individuate dal management. L'ottica dei due fuochi andrà assunta e mai abbandonata, nelle valutazioni generali e in quelle particolari, nelle questioni interne e in quelle esterne. La solidità, e quindi anche quanto le si deve delle prospettive di sviluppo, di una struttura di questo tipo è molto legata al saper dare un'equilibrata valutazione dell'interazione fra queste due anime, evitando che l'una finisca per snaturare la vocazione originaria dell'altra.
In tal senso, i pericoli maggiori da evitare accuratamente sono:
Sui pro e i contro di una tale trasformazione si possono apportare le più varie osservazioni. A mio modo di vedere, resta prioritaria come argomentazione a favore di una scelta del genere la consapevolezza del nuovo panorama in cui le iniziative culturali si trovano forzatamente ad agire. Il fatto è che nel paradigma del "mercato" non è più sufficiente la bravura e la notorietà di un'artista affinché la sua arte possa essere sviluppata e consolidata, ma è necessario sviluppare contestualmente alla propria arte una riflessione su quali siano i valori aggiunti che l'ambiente circostante può valutare maggiormente e ritenere passibili di investimento, secondo la propria utilità. È dunque necessario pensare alla danza non soltanto come arte ma anche come prodotto culturale, ovvero come qualcosa che oltre al valore intrinseco deve porsi il problema dell'appeal presso i possibili finanziatori/acquirenti, del rapporto con i concorrenti. Questa riflessione non potrà lasciar fuori niente, a partire dall'identità del prodotto fino a giungere ai costi dello stesso, passando per la comunicazione, la vendita e tutti gli eventuali altri requisiti richiesti dalle dinamiche di un mercato che non guarda più solo al valore artistico e che, anzi, spesso non sa nemmeno riconoscerlo. Non dovrà essere trascurata inoltre l'analisi del più ampio tessuto di relazioni (d'investimento, d'immagine, pedagogico, sociale, politico...) che derivino dall'intervenienza dell'evento artistico in un contesto preesistente.
Perché abbia buon fine l'implementazione di un management rispettoso delle prerogative dell'impresa artistica e allo stesso tempo stimolante sul piano del dialogo con le richieste del mercato (ovvero del soggetto che dispone delle risorse finanziarie necessarie per portare avanti il proprio lavoro), questo processo andrà considerato quindi non soltanto un male necessario o una condizione imprescindibile, bensì anche un intervento mirato a tutelare, stimolare e rinforzare lo sviluppo dell'identità artistica, sgravando l'artista per quanto possibile di questioni pratiche e allo stesso tempo ponendogli sempre nuove sfide anche alla sua creatività.
Naturalmente il primo elemento da prendere in considerazione al momento dell'adozione di un'ottica commerciale è un'analisi dei possibili canali di finanziamento dell'attività artistica, e quindi sia dei possibili sostenitori o investitori sia delle condizioni per accedere alla loro considerazione. La struttura tradizionale del finanziamento ("contributi & cachet") di cui abbiamo detto all'inizio si può considerare ormai insufficiente, in considerazione della progressiva riduzione degli afflussi tradizionali e delle necessità finanziarie invece crescenti per chi voglia elaborare una seria programmazione. È necessario quindi muoversi verso la realizzazione del modello del cosiddetto fund raising mix, ovvero della differenziazione, a volte anche molto parcellizzata, delle entrate, collazionando le fonti più disparate per provenienza e giustificazione. Questo non significa che sia semplicemente necessario "batter cassa" presso più soggetti possibili, ma piuttosto che servirà interrogarsi in prima istanza su cosa significhi, in termini di struttura e attività, avere a che fare improvvisamente con interlocutori diversi e non istituzionali. Per accedere a molti dei possibili nuovi investitori è necessario infatti osservare condizioni non strettamente necessarie in regime "protetto". In questo senso il fund raising potrà essere una principale fonte di sviluppo solo se sarà stato prima accettato come fonte principale di istanze di trasformazione.
Consideriamo infatti i principali soggetti del mecenatismo e dell'investimento culturale nel nuovo panorama sopra delineato:
Fermi restando, o anche variando poco, i criteri per adire alle sovvenzioni ordinarie, per avvantaggiarsi nei confronti degli altri è necessario non solo porsi il problema di programmazioni condivise ma anche incrementare sensibilmente alcuni aspetti della propria organizzazione. In tal senso i tre obiettivi-chiave sono:
Sul piano "interno" una pianificazione il più lunga possibile compatibile con le certezze almeno minime di cui si dispone sul lungo termine permette di razionalizzare al meglio le risorse umane e finanziarie e di avere uno zoccolo duro di attività su cui basare la propria sopravvivenza; allo stesso tempo permette di lavorare con maggior tranquillità e con i tempi più consoni a eventuali programmi di sviluppo. Sul piano "esterno" la pianificazione permette di selezionare eventuali partner e progetti secondo la propria strategia e la propria reale disponibilità di risorse, ma anche di presentarsi a interlocutori di natura commerciale con quelle certezze economiche e strategiche necessarie per essere presi seriamente in considerazione.. In questo ultimo aspetto la pianificazione deve accompagnarsi necessariamente alla trasparenza della propria struttura. Ciò significa che devono essere individuati chiaramente i referenti interni responsabili di ogni singola attività e deve essere assolutamente producibile in ogni momento la situazione economico-finanziaria della compagnia, che deve a sua volte prevedere meccanismi di responsabilità e trasparenza, possibilmente garantiti da un istituto bancario. Nessun investitore privato di alto livello si sognerebbe di relazionare commercialmente con un soggetto la cui situazione bancaria e di bilancio non sia di assoluta trasparenza a ogni genere di interrogazioni. È il caso, per esempio, della Fondazioni Bancarie, che vincolano la possibilità di accedere ai loro contributi a una presentazione consuntiva, patrimoniale e preventiva del proprio stato e a una precisa e trasparente pianificazione economica del progetto da finanziare, esattamente come se si trattasse di erogare un prestito a un'impresa commerciale.
È facile dedurre quanto valore assuma il budget, d'impresa e di progetto, in una tale dinamica. Il budget deve divenire ciò che per un navigatore sono le carte nautiche e i libri di bordo, ovvero lo strumento principale di pianificazione, controllo e rendiconto delle proprie attività, nonché un importante strumento di relazione con gli eventuali investitori e benefattori. Perseguire una costante cura del budget in ogni fase di azione è l'unico modo per dare sostanza alla scelta della pianificazione e della trasparenza, per poter condurre scelte strategiche generali attente all'equilibrio necessario tra le diverse attività e per misurare la compatibilità con l'attività già pianificata delle opportunità che di volta in volta si presentino.
Il budget può essere più o meno flessibile. Rigido deve essere però il controllo affinché ogni azione venga monitorata attraverso questo strumento e riportata così nell'ambito del bilancio generale della compagnia, per tutelare l'attività pianificata da imprevisti economici, salvaguardando la copertura dei costi fissi e determinando le risorse disponibili per costi variabili e investimenti e il relativo fabbisogno da coprire con nuove entrate.
Per quanto riguarda il terzo dei tre obiettivi-chiave sopra indicati, la comunicazione, risponde anch'esso a logiche di adeguamento alle dinamiche di mercato e mira a creare un vantaggio rispetto ai concorrenti nella relazione con i nuovi investitori. Per riprendere un esempio precedente, la scelta di una comunicazione ridotta ai minimi termini può essere adatta al piccolo artigiano che deve gestire una clientela selezionata, ma non è sicuramente una scelta adatta a chi ha intenzione di penetrare un mercato in cui gli interlocutori e i potenziali acquirenti perlopiù non faranno scelte prettamente di natura artistica ma saranno interessati proprio ad acquistare le potenzialità di comunicazione del prodotto. Questo vale in particolar modo per gli sponsor, il cui investimento pubblicitario persegue e deve perseguire effettivi indici di efficacia della comunicazione, quando non è orientato da passioni e interessi personali (ma anche in questo, la danza certo non parte in vantaggio rispetto ad altre arti, per non parlare delle attività sportive) o da intenti di puro mecenatismo sociale (e qui la concorrenza delle attività di assistenza e volontariato vario è dominante).
Bisogna acquisire coscienza del fatto che dove ci siano delle risorse finanziarie e delle possibilità di investimento, lì ci sarà senz'altro anche una serie di soggetti concorrenti e che la comunicazione non può essere soltanto una scelta di "stile personale" ma anche un elemento di competizione. La comunicazione commerciale in particolare non può limitarsi a essere soltanto la messa a punto di un fantasma della propria identità bensì dovrà soprattutto produrre messaggi i cui codici siano determinati a partire non solo dall'identità del mittente ma anche da quella dei possibili destinatari. Bisogna ricordare anche che la comunicazione commerciale mira ad associare l'identità del mittente ai desideri del destinatario e quindi, per quanto selettiva nei contenuti del messaggio, dovrà essere efficace presso un numero maggiore possibile di persone. Il target, quantitativo e qualitativo, della propria comunicazione sarà il valore "nominale" spendibile dall'organizzazione in fase di ricerca di partnership e sponsorhip, ovvero in fase di fund raising, laddove saranno proposti accordi commerciali proficui per entrambe le parti e non richiesti oboli o contributi.
Oltre che con i soggetti "commerciali", la comunicazione andrà inoltre orientata alla conquista di nuovi mercati teatrali. In questo senso sarà compito della comunicazione, presentarsi in maniera prima di tutto invitante ed efficace dal punto di vista pubblicitario, facendo contestualmente attenzione a non far leva su aspettative che non siano fedeli al "prodotto culturale" proposto.
In conseguenza di quanto detto, appare necessario che un soggetto orientato a intraprendere una politica di fund raising, debba innanzitutto lavorare per migliorare il valore "commerciale" della propria immagine e dotarsi degli strumenti fondamentali per la ricerca in questione, a partire da quelli di auto-presentazione.
Per tirare le fila, fin qui ho voluto innanzitutto affrontare alcuni dati analitici generali di partenza, che possono essere sintetizzati brevemente come segue.
Osservando il panorama attuale del sistema culturale italiano, caratterizzato dal restringimento delle risorse pubbliche a sostegno degli iniziative artistiche e parimenti dalla scarsità di opzioni alternative di finanziamento di un'attività di stampo tradizionale, si può parlare di una vera e propria rivoluzione in fase di compimento. In presenza di così poche certezze, considerare con realismo il più pessimistico degli scenari possibili, ovvero educarsi all'ipotesi di dover gestire il proprio sviluppo in un regime "non protetto" di libero mercato, e quindi di autofinanziamento della propria attività, pare la scelta più futuribile per un soggetto artistico che voglia agire a livello professionale, non solo in una strategia di sussistenza ma di sviluppo Questo processo è indissolubilmente legato alla capacità di rispondere a criteri di selezione "commerciali" di non elementare compatibilità con i principi artistici tradizionalmente intesi, per cui non si può parlare di semplice implementazione di una nuova abilità all'interno di una struttura ma di una necessaria trasformazione della stessa. Sarà quindi necessario dotare la propria attività di un supporto manageriale che sia allo stesso tempo risorsa, agente di trasformazione interna ed elemento di intermediazione necessaria con i nuovi investitori e i nuovi criteri di selezione dell'investimento.
Nel corso di questa argomentazione ho già delineato alcune idee che stanno a metà strada tra l'analisi e la proposizione, tra il generale e il particolare, e che se non sono già strategia di sviluppo, ne rappresentano il primo passo necessario, le fondamenta per poter agire poi razionalmente nelle direzioni di volta in volta decise. Questi argomenti, in forma di principio o di attuazione, ritorneranno nella fase propositiva e specifica del presente lavoro che ha come oggetto lo sviluppo della compagnia ALDES di Roberto Castello, e a cui è dedicata interamente la parte che segue.
ALDES (acronimo di Associazione Lucchese Danza E Spettacolo) si presenta come «un'associazione di artisti e operatori culturali che produce opere di sperimentazione coreografica fra danza, arti visive e nuove tecnologie e realizza spettacoli, installazioni, performances, manifestazioni e video sul corpo, sul movimento e sulla loro rappresentazione». È stata fondata nel 1993 dal coreografo e danzatore Roberto Castello, all'indomani della sua fuoriuscita da Sosta Palmizi, storica compagnia italiana di danza contemporanea, che contribuì a fondare e a far conoscere.
Sostanzialmente e allo stato attuale, ALDES è una compagnia di danza contemporanea che dopo molti anni di ricerca su linguaggi teatrali complessi, fondati sulla integrazione tra parole, musica, gesto e immagine, dal 2003 ha iniziato a concentrarsi di nuovo su una scrittura artistica più strettamente coreografica. I suoi progetti continuano a essere caratterizzati da una particolare attenzione a tutte quelle forme di danza contemporanea che hanno connotati non convenzionali e non spettacolari. L'alto livello artistico raggiunto è già sancito da ottimi riscontri di stampa e critica e dal prestigioso Premio Ubu come miglior spettacolo italiano del 2003 nella sezione Teatro-Danza.
Al di là della formula associativa, ALDES è Roberto Castello e Alessandra Moretti, che portano avanti l'attività della compagnia, accompagnandosi di volta in volta, di progetto in progetto, ad artisti, danzatori e operatori. In questa fase della sua storia, si può individuare come obbiettivo strategico di lungo termine di ALDES quello di consolidare i propri risultati e la propria presenza nel panorama della danza internazionale, quasi a sancire la maturazione della propria ricerca con esiti indiscutibili e intrascurabili anche per complessità, importanza e dimensione. La stessa scelta di pianificare, nel presente periodo, sotto il titolo ironicamente leibniziano di Il migliore dei mondi possibili, una macrosuite "enciclopedica" di ben dieci produzioni va chiaramente in questa direzione.
Dal punto di vista gestionale, l'attività di ALDES è tuttora impostata con fedeltà alla propria politica storica di gestire in prima persona quasi tutti gli aspetti amministrativo-organizzativi per minimizzarne le spese e avere più risorse a disposizione per il capitolo artistico. Anche in coerenza con le esigenze del progetto artistico sopra brevemente delineato, è stato quindi compiuto negli ultimi anni un tentativo di mantenere una compagnia in scrittura stabile, al fine di avere a disposizione un corpo di danzatori (quattro più i due "titolari") affiatato e in sintonia con la direzione della ricerca artistica. Nonostante la scelta però non è stato possibile offrire loro condizioni di soddisfazione tali da garantire una consolidata stabilità e, anzi, la compagnia è stata costretta ad avvicendamenti che hanno procurato ulteriori costi per il riallestimento di alcune produzioni. Tutto ciò ha naturalmente comportato un grande assorbimento finanziarioda parte delle spese per retribuzioni artistiche. Per offrire un dato significativo, si osservi che negli ultimi bilanci consuntivi, soltanto gli onorari lordi del personale tecnico-artistico scritturato vanno a incidere (dati approssimati ma indicativi) rispettivamente:
Significa che negli ultimi tre anni è stato speso in onorari artistici il 54,91% delle entrate totali, senza calcolare tutte le altre voci direttamente imputabili alle produzioni artistiche. Si consideri inoltre che all'incremento progressivo delle recite dalle 24 del 2002 alle rispettivamente 44 e 46 dei due anni successivi, e all'incremento di contributi versati, giornate lavorative e fatturato per vendita di spettacoli rispettivamente del 89,59% 102,71% e 160,87% nell'intervallo in questione, non è corrisposto in pratica nessun aumento delle sovvenzioni ministeriali, nemmeno a fronte di dati qualitativi di assoluto rilievo come la richiesta di spettacoli all'estero e la vittoria del Premio Ubu nel 2003. In pratica, visto che all'aumento degli onorari e della produttività non ha corrisposto (come avrebbe dovuto essere secondo il Regolamento ministeriale) un aumento del contributo pubblico, si può considerare questo un investimento di esito economico negativo; aspetto, questo, che mette a rischio lo stesso sviluppo del progetto, i cui esiti artistici indiscutibili rappresentano invece la parte piena del famoso mezzo bicchiere.
Se da una parte questo dato rivela una sicura inadeguatezza nella distribuzione delle risorse del F.U.S., d'altro canto non c'è alcun fondato motivo per ritenere che questa sperequazione venga rimediata o che le sovvenzioni siano destinate ad aumentare; anzi, in previsione di un lungo periodo di sicura ristrettezza dei bilanci dello Stato, è piuttosto da mettere in preventivo una possibilità di restringimento delle risorse pubbliche. In tal senso forse va anche intesa la nota di accompagnamento dell'assegnazione della sovvenzione dell'anno 2004, che autorizzava la compagnia a ridurre l'attività preventivata finanche del 55% senza ripercussioni sulla cifra assegnata (40.000 €).
Considerando che la sovvenzione ministeriale costituisce uno dei soli tre canali cospicui di entrata (insieme alla sovvenzione regionale, più o meno della stessa entità, e alla vendita degli spettacoli), se da una parte è legittima e necessaria un'azione di pressione sugli istituti responsabili dei finanziamenti alla danza, al fine di riconsiderare la posizione di ALDES come quella di una indiscutibile protagonista della danza italiana, la situazione politico-economica è talmente sotto il segno della precarietà da rendere auspicabile soprattutto un ripensamento dell'attività nella direzione della sua auto-sostenibilità. Anche perché un lieve riallineamento della distribuzione del F.U.S. a favore della compagnia ma all'interno di una tendenza generale al restringimento delle risorse pubbliche, non risolverebbe i problemi generali del nuovo equilibrio finanziario richiesto al sistema-danza, per i motivi che abbiamo precedentemente affrontato.
Il ripensamento auspicato può essere attuato tentando di incidere sia sull'attività storica che su nuove forme di redditività.
Per quanto riguarda l'attività storica, l'obiettivo può essere perseguito innanzi tutto attraverso un'intensificazione della distribuzione degli spettacoli. In merito a questo si debbono considerare principalmente due fattori:
Per quanto riguarda le condizioni generali del mercato italiano, ho già ricordato nelle pagine precedenti quanto questo sia in questo momento, come tutto il sistema culturale ad alta incidenza di finanziamento pubblico, in fase di contrazione e insicurezza finanziaria.
Per quanto riguarda invece il posizionamento delle produzioni di ALDES, dalle tabelle allegate si può vedere come il livello di distribuzione raggiunto dalle produzioni più recenti e più "forti", a esempio il Premio Ubu La forma delle cose, non lasci molti margini di incremento davvero significativo al già ottimo livello raggiunto sul mercato tradizionale, considerando anche la contrazione di cui si diceva sopra, accelerata drasticamente negli ultimi mesi.
Su un totale di 35 titoli (di cui 8 ancora in repertorio), ben 21 (2 ancora in repertorio) non hanno avuto più di 3 rappresentazioni. Soltanto 8 (5) produzioni raggiungono le 10 rappresentazioni (considerando le multiple rappresentazioni delle singole parti di Il migliore dei mondi possibili. Di queste ben 6 (3) raggiungono le 20 rappresentazioni. Soltanto 2 produzioni (1) superano le 30 repliche: Biosculture e Le avventure del signor Quixana.
Il grafico con la linea di tendenza evidenzia come, a parte un picco negli anni 2000 e 2001, dovuto al successo di distribuzione di Le avventure del signor Quixana, e un dato particolarmente negativo nel 2002, i dati fino al 2004 rivelino una certa regolarità di lenta crescita. Appare però cospicua la crescita degli ultimi due anni, in reazione al dato negativo del 2002. Il grafico evidenzia inoltre un rischio importante: che la particolare fortuna di una produzione sia seguita da una calo di produttività dovuto - credo - in parte alla saturazione del mercato e più ancora alla difficoltà di lavorare contemporaneamente su progettualità in diverso stato di avanzamento, dovuta all'accentramento delle funzioni artistiche e organizzative. Lo stesso fenomeno si sta verificando infatti nel 2005 (12 repliche nel primo semestre) dopo il successo dei due anni precedenti.
Come si legge bene nella graduatoria degli spettacoli, cinque delle otto produzioni in repertorio nel 2005 (con l'eccezione di Disperso, Stanze e Non ama il nero) hanno già raggiunto un numero di repliche che le pone tra le produzioni più distribuite di ALDES. Se ne dedurrebbe, a prima vista, che abbiano già raggiunto un livello medio-alto di saturazione del mercato tradizionale della compagnia o comunque che necessitino di una distribuzione superiore allo standard. Sarà necessario quindi valutare se questi spettacoli abbiano ancora potenzialità di distribuzione sulle piazze tradizionalmente interessate al lavoro della compagnia e/o tentare l'apertura di nuovi canali distributivi (per esempio all'estero).
Emerge altresì quanto invece sia stata quella di uno spettacolo come Le avventure del signor Quixana (105 repliche contro le 37 della seconda in graduatoria) e, proporzionalmente al minor investimento strategico, di Sogni, entrambi spettacoli da considerare di alto livello artistico tout court seppure rivolti in particolar modo a un pubblico di adolescenti. In particolare il primo spettacolo, che coinvolgeva come danzatore-autore il solo Castello, si può considerare una produzione redditizia, dalla circuitazione molto economica e dal basso impatto organizzativo, nonché dalle cospicue potenzialità di comunicazione per il soggetto scelto (Don Chisciotte), come dimostra la ricca rassegna stampa registrata.
A partire da queste considerazioni, ritengo che non insistere su un tipo di produzione che abbia dimostrato una capacità di penetrazione e soddisfazione del mercato fuori dall'ordinario, significhi rinunciare a un importante potenziale di redditività in possesso della compagnia. Sia chiaro che non voglio con questo dare indicazioni su una direzione del lavoro artistico della compagnia. Ritengo però che sarebbe economicamente molto utile una differenziazione dell'attività, attuata per mezzo di una politica di produzioni multiple con corpi di ballo diversi e perfino nomi differenti.
Per fare un esempio, che non vuol essere solo teorico ma anche un suggerimento pratico, si potrebbe pensare l'istituzione di una "doppia firma", per cui le produzioni più strettamente legate all'ispirazione artistica e alla presenza di Roberto Castello potrebbero essere firmate come Compagnia Roberto Castello, mentre tutte le altre attività (spettacoli, attività di formazione professionale, formazione del pubblico, azioni di politica culturale, partnership artistiche, ecc.) potrebbero essere firmate come ALDES, che in questo caso assumerebbe le vesti di una factory di cui Roberto Castello sarebbe il Direttore Artistico.
La doppia firma, permetterebbe di affrontare almeno tre ordini diversi di problemi.
Innanzitutto permetterebbe di differenziare la produzione (sia in termini di contenuti artistici, che di vocazioni commerciali che di costi economici) tutelando l'identità artistica originaria.
In seconda battuta, permetterebbe di aumentare le possibilità di impiego dei danzatori e dell'organizzazione anche in attività/produzioni alternative, con conseguenze sia sulla retribuzione che sulla responsabilizzazione e soddisfazione delle persone coinvolte. Per fare anche qui un esempio, lo spettacolo su Don Chisciotte (o uno simile) potrebbe essere ripreso e fatto portare in tournée da un danzatore che non sia Roberto Castello, che agirebbe in questo caso come coreoautore, regista o semplice direttore artistico dell'operazione (sul modello delle compagnie teatrali).
Infine, la doppia firma permetterebbe anche una differenziazione della comunicazione e risolverebbe un oggettivo gap tra l'enorme potenziale comunicativo del brand Roberto Castello e quello di ALDES, a tutt'oggi (dopo dodici anni di attività) non ancora consolidato, forse proprio per la sovrapposizione dell'altro. A tal proposito si consiglia inoltre lo scioglimento dell'acronimo A.L.D.E.S. in una dicitura più brillante e accattivante della attuale formale "Associazione Lucchese Danza E Spettacolo", anche in vista di un legame della compagnia con un territorio non lucchese, come effettivamente in via di definizione.
Si consideri inoltre che continuando a lavorare sul modello della "compagnia unica", l'eventuale e auspicabile intensificazione della distribuzione comporterebbe limiti per lo sviluppo di nuove produzioni e nuove strategie di pianificazione. Il discorso è semplice: se è una compagnia è impegnata in tournée, non può provare le nuove produzioni. E, soprattutto, se il Direttore Artistico, è costantemente impegnato nelle tournée, la sua disponibilità per eventuali altri progetti è talmente sottoposta alle variabili del mercato degli spettacoli che il suo potenziale produttivo in termini di ideazione, pianificazione e organizzazione per l'attività generale della compagnia sarà senz'altro limitata. E quindi sarà limitata la possibilità di generazione di più progetti produttivi e redditizi da parte della struttura.
L'altra strada per il rafforzamento del mercato degli spettacoli è il tentativo di penetrare in modo più sistematico sugli altri mercati europei; il che implica sicuramente un'allocazione di risorse superiori nel capitolo della distribuzione e della comunicazione, a partire dal personale fino alla realizzazione di un adeguato supporto documentario e pubblicitario, passando per un profondo e continuo lavoro di screening dei luoghi e delle istituzioni della danza contemporanea in Europa. È infatti molto importante presentarsi sin da subito su un nuovo mercato con una identità ben definita, conoscenze sicure della situazione in cui ci si vuole collocare e soprattutto con un alto potenziale comunicativo.
Il potenziamento della comunicazione sarà inoltre oggettivamente uno degli obiettivi di maggior preminenza, in vista di intraprendere una futura politica di fund raising presso potenziali partner commerciali interessati a legare la propria immagine a quella della compagnia. In questo caso sarebbe auspicabile investire tempo e risorse in un approfondito lavoro con i media, non soltanto specialistici.
Una prima pietra miliare di questa politica di branding è da individuare nella strategia di supporto alla conclusione del ciclo Il migliore dei mondi possibili, che andrà capitalizzata al massimo individuando con sufficiente anticipo una importante manifestazione internazionale a cui proporre la prima mondiale dell'esecuzione integrale, magari lavorando in un'ottica di co-produzione, e con cui sicuramente concordare e attuare la relativa strategia di comunicazione, anche preparatoria, dell'evento.
Questa azione si può ricondurre a un modello generale che sta a metà strada tra la strategia di differenziazione delle produzioni, quella di sviluppo interno e quella di comunicazione, e che dovrebbe essere presa in costantemente in considerazione: realizzare coproduzioni con altri soggetti portatori di un alto capitale simbolico e in sintonia con le nostre identità e dimensione artistiche, nonché portatori di abilità operative il cui apprendimento sarebbe già di per sé un vantaggio per la struttura.
Ritengo che il primo passo pratico da intraprendere sia necessariamente l'elaborazione di un piano di sostenibilità per l'individuazione e la messa in agibilità di una sala prove costantemente in disponibilità della compagnia, visto che fino a questo momento uno dei limiti maggiori posti alla progettualità dalle condizioni oggettive è stata proprio la mancanza di una struttura adeguata e che la compagnia ha dovuto quindi costruire le sue produzioni adeguandosi alle condizioni (anche particolarmente ostiche) di volta in volta disponibili (sale in affitto a ore, ospitalità di scuole di danza, locali non adeguatamente attrezzati...).
Parallelamente ad altre forme che saranno eventualmente escogitate per rendere produttiva la struttura (molto dipenderà dalle caratteristiche del fondo individuato), la possibilità di avere in piena disponibilità almeno una sala prove renderebbe possibile soprattutto la differenziazione della produzione secondo la strategia sopra individuata. Permetterebbe l'attivazione di sperimentazioni e collaborazioni: con un costo relativamente basso si potrebbero mettere a disposizione le attrezzature per artisti, coreografi, ecc. selezionati dalla Direzione Artistica, che possano preparare i propri lavori nella nostra sede. Piuttosto che chiedendo affitti per la sala prove, si potrebbero valutare forme di coproduzione che prevedano di circuitare gli spettacoli con il marchio ALDES. Permetterebbe inoltre di realizzare produzioni a basso costo (1-3 danzatori, giovani artisti, studi da seminari o residenzialità, ecc.), destinate a fasce di mercato non coperte e meno o niente affatto istituzionali.
Resta comunque prioritaria e preliminare a ogni altra scelta, nelle attuali condizioni, quella intorno alla natura strutturale della compagnia, che non potrà più esser vista semplicemente come un soggetto artistico ma anche, e forse soprattutto, come soggetto economico. La riflessione sul piano artistico dovrà dunque procedere di pari passo con quella sulla capacità economica di sostenere la propria attività e di produrre reddito, almeno nella misura sufficiente a garantire i propri dipendenti e/o collaboratori e l'attività più strettamente artistica. È quindi imprescindibile che l'impostazione di ogni piano sia confortata da un'analisi del rapporto tra costi e benefici e sarà dunque necessario adottare strumenti di lettura e pianificazione del bilancio che diano conto della sostenibilità delle singole azioni, nonché valutare forme di economia non ordinarie per una compagnia di danza.
Sarà particolarmente utile in questa fase tenersi stretti all'impostazione della "doppia ottica", giacché di nuovo il rischio è duplice. È vero che dovrà essere concretamente valutata senza pregiudizio ogni possibilità che concorra a garantire la sostenibilità e la redditività necessaria ma si dovrà fare attenzione affinché non solo venga tutelata l'identità artistica (per esempio con la formula della "doppia firma") ma anche che non vengano operativamente messe a rischio da una non equilibrata distribuzione delle risorse umane ed economiche la natura e la vocazione originaria del progetto di sviluppo, ovvero la propria mission e la propria vision.
D'altro canto si dovrà fare attenzione a non considerare l'attività di fund raising come una semplice ricerca di finanziatori che suppliscano alle mancanze del Pubblico: sarebbe esattamente come consigliare di mangiare delle brioches a chi lamenti la fame per mancanza di pane. Nel settore privato non esiste il mecenatismo o almeno è tanto raro da non poterlo prendere in considerazione come cardine operativo. Nella elaborazione di strategie di finanziamento della propria attività, si dovrà sicuramente pensare a un bilancio delle entrate fortemente diversificato rispetto al passato, ma partendo dalla differenziazione della propria capacità di produrre reddito e attrarre investimenti.
In tal senso, per quanto riguarda la produzione di reddito, l'acquisizione di una sede adeguata amplia la possibilità di mettere in moto economie non ordinarie, più o meno commerciali, che vadano dalla formazione professionale alla formazione del pubblico, dal lavoro con gli studenti a quello con gli anziani, dall'organizzazione di intrattenimenti compatibili con la propria identità fino alla fornitura di servizi agli enti, alla popolazione e alle imprese.
Per quanto riguarda la capacità di attrarre investimenti, questa sarà imprescindibilmente legata al valore economico e/o simbolico che l'attività di ALDES sarà in grado di acquisire, sia sul territorio di riferimento che in ambito nazionale e internazionale. Questo vale sia per l'attivazione di partnership commerciali o artistiche, sia (e soprattutto) per l'attrazione di contratti di sponsorizzazione, ma anche per l'eventuale attrazione di erogazioni liberali. Si pensi, per esempio, ai potenti investimenti in immagine e pubblicità compiuti delle istituzioni religiose per contendersi il fatidico "otto per mille", che oltretutto ha il vantaggio di essere devoluto in regime di indifferenza fiscale entro la tassazione ordinaria (ovvero con nessun costo per il contribuente-benefattore), laddove l'erogazione liberale è soggetta solamente alla defiscalizzazione degli oneri come una qualsiasi voce di costo nel bilancio aziendale.
L'adozione di una nuova sede, dotata necessariamente di sala prove e preferibilmente anche di uffici, di magazzino e di uno spazio aperto al pubblico per la presentazione almeno di piccoli spettacoli, rappresenta anche un cardine per l'impostazione di una politica di rapporti col territorio. Innanzitutto perché l'attuale sede della compagnia si trova attualmente nella provincia di Lucca e questo rappresenta un ostacolo formale al radicamento dei rapporti con gli Enti e i soggetti della Valdinievole (provincia di Pistoia), che è stata individuata come l'area di vocazione dello sviluppo di ALDES. In secondo luogo perché l'attivazione di rapporti virtuosi con gli operatori e la popolazione del territorio, nonché l'attivazione di economie alternative e il lavoro di costruzione di valore simbolico della compagnia non può non passare attraverso una presenza attiva di azioni culturali riconoscibili. Anche perché la notorietà di ALDES sul territorio della Valdinievole è tutta da costruire, come anche è da tutta da inventare una, inizialmente anche scarna ma costante, programmazione di attività culturale dedicata alle discipline del contemporaneo.
Dal punto di vista settoriale, infatti, l'offerta culturale sul territorio della Valdinievole, e in particolare sul territorio dei tre comuni (Pescia, Uzzano, Buggiano) con cui sono stati intessuti i primi rapporti di collaborazione in vista dell'impostazione di una politica d'area, è piuttosto ristretta: nemmeno un cinema aperto stabilmente, un solo teatro (con attività perlopiù tradizionale o amatoriale), nessuna libreria ben fornita, biblioteche comunali con progettualità ricche di buona volontà ma con pochi mezzi. L'offerta non migliora in modo significativo se si estende l'analisi all'intera zona della Valdinievole, ovvero a un bacino di popolazione che si aggira intorno ai 100.000 abitanti.
Più in generale, sul territorio il consumo di cultura, e soprattutto di cultura contemporanea, è da considerarsi assai basso e l'offerta dominante nel settore del tempo libero è rappresentata da eventi sportivi (basket e ippica) e intrattenimento popolare (discoteche e balere, birrerie, sale da bingo...). L'associazionismo culturale, anche nei pochi casi di attività che si possa ritenere qualificate, è perlopiù da inscrivere in un orizzonte tradizionalistico e/o localistico.
Appare quindi indispensabile una politica che miri a riqualificare il "capitale umano" del territorio attraverso iniziative culturali che almeno propongano una possibilità di informazione e di non isolamento. Ma proprio in considerazione del livello di partenza e della scarsa disponibilità di risorse pubbliche, nonché dallo scarso appeal iniziale su cui l'attività di ALDES può contare presso gli operatori e il pubblico della Valdinievole, è necessario pensare questo radicamento come progressivo, per piccoli passi e strettamente legato a una lunga e costante attività quotidiana che sia sì di dimostrazione del proprio valore artistico, ma anche di conoscenza, relazione e mediazione su piani e livelli che non si possono imporre a un territorio. ALDES dovrà quindi guardare all'investimento sul territorio come una strategia a lungo termine e che inizialmente non potrà essere capitalizzata più di tanto. Gli apporti che il territorio potrà fornire saranno probabilmente più importanti in futuro, una volta che la compagnia vi sarà realmente radicata e potrà essere vista come risorsa endogena e non più come un elemento esterno che porta con sé certamente delle opportunità ma anche il rischio di scompaginare un equilibrio consolidato. E anche al fine di poter acquisire autorevolezza su un territorio che ha difficoltà a valutare con adeguati strumenti le attività culturali, sarà quanto mai proficuo il lavoro sull'immagine e sulla comunicazione già precedentemente postulato.
Per dare un esempio della difficoltà di far coesistere le proprie categorie con quelle del territorio, è vero che sin da subito ALDES, grazie alla propria centralità nel sistema toscano e nazionale della danza, potrebbe offrire al territorio la possibilità di rompere l'isolamento culturale e quindi di partecipare a processi virtuosi di produzione e circolazione di idee e finanze, ma non è detto che questa opportunità possa essere adeguatamente valutata, anche perché il territorio è sostanzialmente privo di una tradizionale vocazione alle politiche di rete e degli strumenti per comprenderne e svilupparne la potenzialità. Soltanto in questi ultimi anni si stanno almeno consolidando pratiche di network tra i comuni dello stesso territorio, ma soltanto a partire da esigenze economico-organizzative e in forma di collaborazione strettamente pratica e spesso elementare (scuolabus, raccolta rifiuti...); non certamente come elaborazione di forme di gestione della progettualità politico-amministrativa o come volano di progetti di sviluppo.
La possibilità di essere associata a un territorio e allo stesso tempo portatrice di progettualità complesse e di rete sarà probabilmente più spendibile da ALDES a livello regionale. Quella della danza toscana è infatti una situazione particolare, se non altro per la densità di compagnie di alto livello residenti sul territorio. La Regione Toscana è stata sempre molto attenta a considerare la danza una delle discipline da tutelare e da difendere come fiore all'occhiello della propria cultura, ma molti degli strumenti che nel tempo sono stati adottati si sono rivelati inadeguati; in particolare si sono rivelati deleteri l'istituzione a Pistoia di un sedicente Centro Toscano per la Danza, che ha accentrato poteri e risorse per restituire uno scarsissimo servizio agli operatori sparsi sul territorio, e la sperimentazione della formula della residenzialità, per cui a ogni compagnia sovvenzionata si chiedeva di certificare la propria residenza stabile presso un teatro della Regione. Questa ultima modalità, tuttora operativa, pensata per favorire il radicamento delle compagnie, ha risultato effetti a volte irrilevanti (contratti di residenzialità solo formali) quando non addirittura controproducenti (compagnie costrette a farsi carico di oneri indiretti pur di avere la certificazione). È da giudicare molto più proficua in prospettiva la fondazione di ADAC, un'associazione che riunisce le compagnie di danza toscane, e il suo riconoscimento da parte della Regione, che nell'ultimo anno le ha assegnato il finanziamento del disciolto Centro Regionale, per utilizzarlo a fini di promozione della danza. Che un organismo possa interloquire con i funzionari regionali a nome di tutte le compagnie (anche se al momento le differenze interne di visione e strategia appaiono cospicue) dà sicuramente agli operatori un ruolo molto più importante da giocare sul tavolo delle nuove politiche regionali (attualmente in via di aggiornamento, dopo la rielezione del Presidente) e, in particolare, nella correzione del modello delle residenzialità in una direzione che sappia offrire un vantaggio di partecipazione al network culturale anche ai territori e ai teatri, in modo da creare le condizioni per il radicamento delle compagnie sul territorio. Sicuramente ALDES, il cui direttore artistico è Presidente di ADAC, dovrà avere un ruolo attivo e propositivo nella definizione del nuovo panorama normativo della cultura toscana ma quel che conta, ai fini del nostro progetto di sviluppo, è che anche nel caso della Regione Toscana, ovvero di uno degli Enti italiani più evoluti dal punto di vista delle politiche culturali e di sviluppo, l'intervento pubblico, almeno in questo momento, non può essere posto a cardine dell'attività della compagnia.
Avviandomi alle conclusioni, mi sembra necessario fare almeno un veloce riferimento alla necessità di impostare correttamente una politica di gestione dei propri stakeholder. Un riferimento soltanto rapido non perché ritenga la questione secondaria ma, anzi, perché l'approccio concettuale che sta dietro a tale dottrina è, insieme ai principi del network, il fondamento di tutto questo mio lavoro.
Scegliere questo approccio significa interrogarsi su che tipo di relazione istituire con chiunque entri nella nostra sfera di influenza (attiva o passiva) e considerare ognuno di questi soggetti non un mezzo per i nostri fini ma un detentore di interessi autonomi con cui confrontarsi e convivere, magari con reciproco guadagno. Oltre che abituarci a relazionare con le differenze, una corretta interpretazione e gestione degli stakeholder serve a generare sinergie e a evitare ostacoli, ma soprattutto è un saldo strumento di autointerrogazione sulla propria identità e di impostazione del problema della propria legittimizzazione sociale. E si badi che non è una semplice impostazione di natura "etica", ma anche fortemente pragmatica, giacché andrà considerato come chiunque sia detentore di interessi più o meno diretti nei confronti della nostra attività, può influenzarla nel bene e nel male. Alcuni sicuramente avranno una maggiore e più diretta influenza sui nostri progetti (prima di tutto i propri dipendenti, poi gli enti locali e i finanziatori diretti, i teatri e gli organizzatori di festival, il pubblico, la stampa...), ma interrogarsi costantemente anche sugli interessi degli stakeholder secondari può servire anche a individuare soluzioni inattese ai problemi, come nella migliore tradizione della "intelligenza laterale". Una volta individuati, bisognerà considerarne in primo luogo i bisogni, le aspettative e gli interessi, nonché le capacità di metterci in relazione con altre reti di soggetti (ognuno con i rispettivi stakeholder positivi e negativi). Chiunque può essere uno stakeholder e avere rispetto e cura degli interessi di ognuno di loro, anche di chi detiene apparentemente interessi ostili ai nostri, oltre che un fondamento solido per la propria identità relazionale, può aprire alla nostra stessa attività capitoli di riflessione e di operatività inediti e sorprendenti.
Sarà quindi cura di un'organizzazione che voglia lavorare in questa direzione, lavorare all'individuazione e alla gestione degli stakeholder, preferibilmente in modo collettivo, in modo tale da effettuare analisi il più complete e condivise possibile.
Per finire, propongo in allegato una elaborazione del budget complessivo del 2005 basato sulla scelta di soddisfare alcune prime necessità sopra individuate. Le priorità di cui la pianificazione economica si fa carico sin dal secondo semestre del 2005 sono:
Nell'ipotesi di bilancio avanzata si è tenuto conto, per la nuova sede, dell'individuazione di un fondo di circa 400 mq in località Ponte all'Abate, di proprietà di un imprenditore locale e proposto a un canone d'affitto a pieno regime di 1.500 €, con agevolazioni iniziali e rimborsi a scalare sull'affitto per le spese di messa in allestimento e messa in funzione. Dei costi di allestimento (saranno allestiti intanto circa 200 mq) e d'esercizio della nuova struttura si allega budget preventivo, implementato poi nel bilancio generale d'esercizio, dove è proposta l' accensione di un mutuo quinquennale per ammortizzare le spese di allestimento. Si consideri inoltre che tra le spese della nuova sede non è considerato il telefono, caricato complessivamente sul bilancio generale come spesa fissa indifferente al trasferimento dalla vecchia sede alla nuova.
Nell'implementazione della nuova figura professionale dedita al management si è calcolato inizialmente un impegno part-time al fine di favorire un inserimento progressivo e non gravare troppo su un budget su cui si interviene quando una buona metà dell'attività annuale è già stata effettuata, e quindi con minori margini di elasticità. Non si può comunque considerare questo un intervento sufficiente: sarà presto necessario procedere a un ulteriore rafforzamento del management e della comunicazione e sicuramente attivare un rapporto con un professionista che segua costantemente gli aspetti amministrativi e istruisca adeguatamente la struttura in questo campo.
Per quanto riguarda la strategia di distribuzione, si è stanziata una somma non usuale per la comunicazione, nonché è stato calcolato un aumento delle bollette del telefono, in considerazione del prevedibile aumento di costi per chiamate internazionali. Successivamente sarà comunque da esplorare la possibilità di accedere a forme avvantaggiate di telefonia aziendale.
La maggior parte delle risorse per permettere questi interventi è liberata dal contenimento delle spese degli onorari dei danzatori: innanzitutto per la già intervenuta diminuzione degli scritturati da 4 a 3 dopo i primi due mesi d'esercizio, quindi con l'ottimizzazione dei tempi di disponibilità, valutata con la riduzione del periodo di scrittura da 10 a 7 mesi annui.
Nelle calcolo delle entrate si è calcolato, ma ancora non se ne ha conferma, che venga confermata la dimensione del finanziamento ministeriale. D'altro canto si è considerato un calo deciso della distribuzione degli spettacoli dalle 46 recite dello scorso anno a un'ipotesi di 28 per l'anno in corso, in considerazione di un primo semestre poco produttivo da questo punto di vista. Per il progetto scuola si sono indicate cifre verosimili in considerazione dell'attuale stato delle trattative con i soggetti interessati. Per i seminari in sede si è considerata la disponibilità della nuova struttura e quindi è un entrata che può essere considerata a parziale contenimento delle spese d'esercizio della nuova sede. Si può ritenere questa composizione delle entrate un tipo elementare di quel fund raising mix in vista di un lavoro organizzato in tal senso sin dagli esercizi successivi. imprescindibilmente da un'idonea pianificazione delle attività e dell'organico.
Per il calcolo delle uscite si sono considerate come base di partenza le cifre di bilancio dello scorso anno, in parte riproporzionate all'effettiva attività del 2005. Per le spese tecniche si è valutato un impegno medio di giorni 1,5 per ogni replica (considerando come media l'impegno di tre giorni di lavoro per la vendita di due spettacoli su due giorni).
Si consideri che il budget proposto deve innestarsi sull'attività già effettuata nel primo semestre 2005, e quindi non si è potuto operare con l'elasticità necessaria per adattarlo al disegno di una strategia complessiva. Come specificato, ho scelto di agire su alcune priorità la cui attuazione rappresenta, a mio parere, il compimento della prima fase del progetto di sviluppo. Anche perché oltre questa fase non è nemmeno lecito pianificare economicamente il futuro, essendo la pianificazione (come più volte ribadito in questo documento) l'incontro delle ragioni artistiche con quelle del management e mancando allo stato attuale il progetto artistico che venga proposto sulla scorta e sull'eventuale accettazione delle valutazioni espresse in questo documento.
Ritengo però che, per concludere, possano e debbano essere delineati e ribaditi alcuni principi da osservare nella pianificazione economica delle stagioni a venire, come strumento di realizzazione delle valutazioni precedentemente espresse e col fine di consolidare di una struttura organizzativa e produttiva stabile, motivata e professionale:
Pistoia, 28 giugno 2005